IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
                         (Sezione Prima Ter) 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 7774 del 2013, proposto da: 
        Flavia  Anania,   Simona   Calcagnini,   Roberta   Carpanese,
Donatella Cera, Nicola Covella, Vittorio  De  Cristofaro,  Nicola  De
Stefano,  Maria  Stefania  Fornaro,  Salvatore   Concetto   Francesco
Fortuna, Antonio Giaccari,  Antonio  Giannelli,  Alessandra  Lazzari,
Bianca Lubreto, Adele Mirra, Rosamaria Monea, Monica  Perna  e  Zaira
Romano,  rappresentati  e  difesi  dagli  avv.ti  Benedetto  Giovanni
Carbone, Luigi Strano ed Enrico Gai, con domicilio eletto  presso  lo
studio dei difensori, situato in Roma, via degli Scipioni n. 288; 
    Contro Ministero  dell'Interno,  in  persona  del  Ministro  pt.,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale  dello  Stato  presso
cui e' legalmente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Per l'accertamento del diritto  dei  ricorrenti  a  percepire  il
trattamento economico corrispondente alla qualifica  di  viceprefetti
con decorrenza 1° gennaio 2012, ai sensi dell'art. 7  del  d.lgs.  19
maggio 2000, n. 139, e degli artt. 3 e ss. del d.P.R. 23 maggio 2011,
n. 105; 
    Visto il ricorso con i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto  l'atto  di  costituzione   in   giudizio   del   Ministero
dell'Interno; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  13  febbraio  2014  il
Consigliere Antonella Mangia e uditi per le parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    1. I  ricorrenti  -  vice  prefetti  aggiunti,  promossi  a  vice
prefetti con decorrenza  1°  gennaio  2012,  in  virtu'  del  decreto
ministeriale 28 dicembre 2012, vistato dall'Ufficio Bilancio in  data
8 febbraio - si dolgono  che,  nonostante  quanto  preannunziato  dal
Ministero dell'Interno con circolare n. 9 del 27 marzo 2013 in ordine
alla  definizione  «degli  aspetti  connessi   all'attribuzione   del
trattamento economico corrispondente alla qualifica  conseguita»,  la
gia'  citata  Amministrazione   «non   ha   ancora   adottato   alcun
provvedimento di determinazione del  trattamento  economico»  a  loro
spettante e chiedono, pertanto, a questo Tribunale  di  accertare  il
loro «diritto a percepire  il  trattamento  economico  corrispondente
alla qualifica di vice prefetti con decorrenza 1.1.2012». 
    A supporto della  pretesa  avanzata,  i  ricorrenti  deducono  la
prescrizione di cui all'art. 7 del d.lgs. n. 139 del 2000,  il  quale
dispone, al comma 4,  che  «le  promozioni  alla  qualifica  di  vice
prefetto decorrono agli effetti giuridici ed economici dal 1° gennaio
dell'anno successivo  a  quello  nel  quale  si  sono  verificate  le
vacanze». 
    Nel contempo, i ricorrenti sostengono l'inapplicabilita' «ai vice
prefetti delle misure di  contenimento  della  spesa  in  materia  di
pubblico impiego previste» dall'art. 9, comma 21, del d.l. 31  maggio
2010, n. 78, convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,
della legge 30 luglio 2010, n. 122, per un duplice ordine di  profili
e precisamente: 
        «il personale appartenente alla carriera prefettizia e' retto
da proprio specifico ordinamento, regolato dal d.lgs. n. 139/2000, il
cui art. 29 ha previsto un sistema di contrattazione che si  conclude
con l'approvazione da parte del Consiglio dei ministri di  un'ipotesi
di  accordo  sindacale,   successivamente   trasfusa   in   un   atto
regolamentare emanato sotto forma di  decreto  del  Presidente  della
Repubblica». Posto che, per  quanto  attiene  all'ipotesi  in  esame,
l'atto di recepimento sussiste - essendo identificabile con il d.P.R.
n. 105 del 23 maggio 2011 - ed e', altresi', successivo al richiamato
decreto legge, «risulta evidente che la disciplina  contrattuale»  di
tale d.P.R., «letta in combinato disposto con l'art. 7» di cui sopra,
«si pone quale  fonte  regolamentare  speciale,  che  stabilisce  una
disciplina derogatoria rispetto a quella prevista dall'art. 9,  comma
21, del d.l. n. 78/2010»; 
        «la  retribuzione  reclamata  attiene   alla   piu'   elevata
posizione conseguita tramite la promozione a  viceprefetti,  che  non
potrebbe giammai essere disconosciuta dall'Amministrazione», pena  la
palese incostituzionalita' della norma in questione, in  relazione  -
specificamente - agli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 Cost.. 
    2. Cio' detto, in  via  preliminare  sussiste  la  necessita'  di
definire  -  per   valutare   la   rilevanza   delle   questione   di
costituzionalita' «ai fine del decidere» -  se  sia  condivisibile  o
meno l'assunto dei ricorrenti secondo il quale l'art.  9,  comma  21,
del d.l.  n.  78  del  2010  non  sarebbe  applicabile  al  personale
appartenente alla «carriera prefettizia», dagli  stessi  desunto  dal
«d.P.R. n. 105/2011, letto in combinato disposto con l'art. 7,  comma
4, del d.lgs. n. 139 del 2000». 
    Al riguardo, il Collegio perviene ad una soluzione negativa sulla
base delle seguenti considerazioni: 
        il d.lgs. n. 139 del 2000 - di disciplina  del  «rapporto  di
impiego  del  personale   della   carriera   prefettizia,   a   norma
dell'articolo 10 della legge 28 luglio 1999, n. 266» - dispone, oltre
che   l'unitarieta'   della   carriera    prefettizia    (art.    1),
l'articolazione della carriera de qua in  tre  diverse  qualifiche  -
«prefetto, vice prefetto e viceprefetto aggiunto» - a cui corrisponde
l'esercizio di  differenti  funzioni,  espressamente  indicate  nella
tabella B (art. 2); 
        come  si  trae  dal  medesimo  decreto,  il  passaggio  dalla
qualifica di vice prefetto aggiunto a quella di vice prefetto avviene
mediante una «valutazione comparativa», utile per l'ammissione ad  un
corso di formazione con un esame finale, e la redazione - in ultimo -
di una graduatoria; 
        lo stesso decreto configura il passaggio tra le  su  indicate
qualifiche espressamente in termini di «promozione» (art. 7, comma 4,
e art. 8, comma 4) e, dunque, di sviluppo di carriera; 
        cio'  detto,  non   si   ravvisano   ragioni   per   ritenere
inapplicabile l'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010, il quale -
per quanto rileva in questa sede - dispone che «per il  personale  di
cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001,  n.  165  e
successive modificazioni» - tra cui risulta espressamente contemplato
anche il personale «della carriera prefettizia» - «le progressioni in
carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni  2011,
2012  e  2013  hanno  effetto,  per  i   predetti   anni,   ai   fini
esclusivamente  giuridici.  Per  il  personale  contrattualizzato  le
progressioni in carriera comunque denominate ed  i  passaggi  tra  le
aree eventualmente disposte  negli  anni  2011,  2012  e  2013  hanno
effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici»; 
        non vale, poi, a condurre  ad  una  differente  soluzione  il
riferimento all'adozione del d.P.R. 23 maggio 2011, n. 105, posto che
quest'ultimo e' di «recepimento» di un accordo sindacale relativo  ad
un periodo precedente all'entrata in vigore del d.l. n. 78  del  2010
(ossia, «al biennio economico 2008-2009») e, dunque, e'  estraneo  al
periodo preso in considerazione dal citato articolo 9, comma 21,  del
d.l. in argomento. Al riguardo, appare, anzi, possibile affermare che
il  d.P.R.  di   cui   trattasi   -   dando   atto   dell'adeguamento
dell'Amministrazione a quanto prescritto dal d.l.  n.  78  del  2010,
seppure con riferimento all'art. 9, comma 4,  impositivo  del  limite
del 3,20% in relazione agli  «aumenti  retributivi»  per  il  biennio
2008/2009 - assume sostanzialmente carattere confermativo della  gia'
rilevata applicabilita' del citato art. 9,  comma  21,  al  personale
della carriera prefettizia. 
    In ultimo, si osserva poi che il Tribunale ha gia' avuto modo  di
occuparsi di  una  questione  similare  a  quella  prospettata  dagli
odierni ricorrenti con l'ordinanza n. 6161 del 2012, pervenendo  alle
medesime conclusioni. 
    In tale occasione e' stato sollevato il  problema  se  l'art.  9,
comma 21,  del  d.l.  78  del  2010  potesse  o  meno  derogare  alla
disciplina  speciale  che  regola  il   trattamento   economico   dei
«diplomatici». 
    In particolare, e' stato evidenziato - come nel caso in  esame  -
che «il personale appartenente alla carriera diplomatica e' retto dal
proprio specifico ordinamento, regolato dal d.P.R. 5 gennaio 1967, n.
18, il cui art. 112 - siccome sostituito dal d.lgs. 24 marzo 2000, n.
85 - ha introdotto il sistema della  contrattazione,  da  trasfondere
successivamente in un  atto  regolamentare  emanato  sotto  forma  di
decreto del Presidente della Repubblica», rappresentato - all'epoca -
dal d.P.R. 13 agosto 2010, n, 206, «successivo allo  stesso  d.l.  n.
78/2010», il quale «non  menziona  mai  il  comma  21  (ma  solo  nel
preambolo il comma 4) dell'art. 9 del d.l. n. 78/2010». 
    In linea con quanto sopra rilevato, il Tribunale ha avuto modo di
affermare come non fosse «revocabile in dubbio che l'art. 9 del  d.l.
n. 78/10, per il tenore delle prescrizioni in esso contenute,  e  per
la finalita' che esso persegue - e, dunque, per la lettera e la ratio
delle stesse - si  prefigga  lo  scopo  di  intervenire  su  tutti  i
rapporti d'impiego con le pubbliche  amministrazioni,  quale  sia  la
loro struttura e la fonte principale che li disciplina»,  confermando
cosi' l'applicabilita' dell'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010
a qualsiasi progressione di carriera, «a prescindere dalla fonte  che
regola direttamente o indirettamente il rapporto stesso». 
    Tale orientamento  ha  trovato  conferma  da  parte  della  Corte
Costituzionale con la sentenza n. 304 del 2013. 
    3. Definita  cosi'  l'applicabilita'  anche  al  personale  della
carriera prefettizia dell'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del  2010,
acquista rilevanza - ai fini del decidere - la questione  prospettata
dai ricorrenti sulla costituzionalita' del ripetuto art. 9, comma 21,
nella parte di interesse sopra riportata, risultando chiaro come tale
previsione non abbia consentito ai ricorrenti di ottenere, a  seguito
dell'intervenuta  promozione  a  vice   prefetto,   la   retribuzione
corrispondente alla nuova qualifica, di' importo  maggiore  a  quello
fissato per la qualifica precedente di vice prefetti aggiunti, da cui
sono cessati. 
    4. Orbene la questione non appare manifestamente infondata per le
ragioni di seguito indicate. 
    E' ormai noto l'orientamento volto  al  risparmio  delle  risorse
economiche dello  Stato  per  garantire  il  rispetto  dei  parametri
comunitari in materia di rapporti tra il debito pubblico ed il PIL. 
    Svariate e numerose sono state, infatti,  le  iniziative  assunte
dal legislatore al fine di realizzare  il  contenimento  della  spesa
pubblica. 
    A  tali  iniziative  e'  riconducibile  anche  la  previsione  in
argomento, ossia l'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010. 
    Le considerazioni che precedono vanno, in ogni  caso,  rapportate
ai principi fondamentali dell'ordinamento e - piu'  specificamente  -
alle previsioni della Carta Costituzionale,  al  fine  di  accertarne
l'osservanza. 
    Ebbene, ritiene il Collegio che, nel caso di  specie,  l'art.  9,
comma 21, in argomento non sia rispettoso delle previsioni  contenute
nella Carta  Costituzionale  per  vari  ordini  di  motivi,  non  con
fliggenti bensi' tra loro subordinati. 
    4.1. In primis, si ravvisa  una  violazione  dell'art.  36  della
Cost., per la parte in cui dispone che «il lavoratore ha  diritto  ad
una retribuzione proporzionata alla  quantita'  e  qualita'  del  suo
lavoro ....». 
    In linea con quanto si e' gia'  avuto  modo  di  evidenziare,  si
ricorda che la carriera prefettizia  -  di  per  se'  unitaria  -  si
articola  in  tre  diverse  qualifiche,  ossia  nelle  qualifiche  di
«prefetto», «viceprefetto» e «vice prefetto aggiunto» (art. 2  d.lgs.
20 maggio 2000, n. 139). 
    Come si trae dalla stessa dizione della  legge  (in  particolare,
art.  1,  comma  1,  del  d.lgs.  in  esame),   ad   ogni   qualifica
corrispondono compiti e funzioni differenti, riportati nella  tabella
A del decreto prima citato,  caratterizzati  da  diversi  livelli  di
responsabilita' ai quali non possono non  corrispondere  retribuzioni
differenti. 
    Cio' detto, il mantenimento ai vice prefetti aggiunti promossi  a
vice prefetti della retribuzione da essi gia' percepita  in  qualita'
di vice prefetti aggiunti stride con  la  previsione  di  cui  sopra,
vanificando  il  principio  di  corrispondenza  tra  la  retribuzione
spettante e la qualita' e la quantita' del lavoro prestato. 
    La previsione di livelli di  retribuzione  diversi  in  relazione
alla qualifica rivestita dal dipendente e, dunque, della qualita' del
servizio da quest'ultimo prestato  costituisce  -  del  resto  -  una
regola rispondente a criteri di ragionevolezza, in quanto  diretta  a
salvaguardare - oltre che la professionalita'  del  dipendente  -  il
giusto sinallagma che deve presiedere il rapporto tra le  prestazioni
rese. 
    Nel caso di specie, si  verifica,  infatti,  che  prestazioni  di
livello superiore  vengano  retribuite  al  pari  di  prestazioni  di
livello inferiore, con svilimento del principio  di  proporzionalita'
ma anche del principio di corrispettivita'. 
    Come si desume anche dal  d.P.R.  23  maggio  2011,  n.  105,  il
trattamento  economico  del  personale  della  carriera   prefettizia
ricomprende anche ulteriori  voci,  oltre  a  quella  stipendiale  (e
precisamente, la retribuzione  di  posizione  e  la  retribuzione  di
risultato), ma tale constatazione non appare idonea  a  riconfigurare
l'ipotesi in trattazione nei giusti termini imposti dal principio  di
proporzionalita', atteso  che  la  voce  stipendiale  corrisposta  ai
ricorrenti risulta - in ogni caso - non conforme, perche'  inferiore,
a quella che gli stessi avrebbero conseguito in carenza dell'art.  9,
comma 21, d.l. n. 78/2010. 
    La circostanza poi che - nell'ordinamento  giuridico  -  esistano
previsioni che concretizzano deroghe al principio di proporzionalita'
di cui  all'art.  36  della  Costituzione  non  vale  di  per  se'  a
legittimare  l'introduzione  di  ulteriori  deroghe,  specie  se  non
ispirate e supportate dal principio della ragionevolezza. 
    4.2. Tenuto conto che la sperequazione di cui e' stato dato conto
in  precedenza  si  realizza  nei  confronti  solo  di   alcuni   dei
dipendenti, ossia esclusivamente coloro che conseguono la  promozione
nel periodo indicato (e non a carico di  tutti),  si  profila  chiara
l'irragionevole disparita' di trattamento, in spregio  del  principio
di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. 
    Tale disparita' di trattamento insorge non solo in relazione alla
data  in  cui  e'  disposta  la  promozione  -  creando   un   regime
differenziato tra i promossi in tale periodo  ed  i  promossi  in  un
periodo diverso - ma anche all'interno stesso  della  qualifica,  nel
senso che quest'ultima risulta cosi' caratterizzata da personale  che
- pur espletamento il medesimo servizio - viene  retribuito  in  modo
differente e cio' esclusivamente sulla base di circostanze del  tutto
casuali, ossia pienamente svincolate dal lavoro prestato. 
    La disparita' di cui sopra assume  ancora  maggiore  spessore  e,
dunque, gravita' ove si tenga conto della  posizione  dei  dipendenti
che - oltre a conseguire la promozione nel triennio in considerazione
- nel medesimo  triennio  debbono  essere  posti  in  quiescenza  per
raggiungimento del limite di eta', atteso che - ove si verifichi tale
ipotesi - il pregiudizio  economico  subito  si  riflette  anche  sul
regime pensionistico. 
    A parte la disparita' di trattamento che si  delinea  nell'ambito
del  settore  pubblico,  non  e'  possibile  ancora   trascurare   la
disparita' di trattamento che  insorge  rispetto  ai  dipendenti  del
settore privato, i quali si trovano a conseguire  «promozioni»  senza
per questo subire alcun pregiudizio economico. 
    Ferma  la  piena  condivisione  in  ordine  all'introduzione   di
strumenti e di misure volte al  contenimento  della  spesa  pubblica,
preme, infatti, osservare che gli stessi strumenti e le stesse misure
devono comunque operare nel rispetto dei principi fondamentali  della
Costituzione, tra cui figura anche l'esigenza di  evitare  disparita'
di trattamento, a favore dell'effettiva realizzazione  del  benessere
sociale. Come gia' rilevato, la previsione di cui all'art.  9,  comma
21, di cui sopra non appare in linea con tali  principi,  tanto  piu'
ove si consideri che il sacrificio economico dalla stessa  introdotto
e' stato ulteriormente prorogato per un anno ad opera dell'art. 1 del
d.P.R. 4 settembre 2013, n. 122, «Regolamento in materia  di  proroga
del blocco della contrattazione e degli automatismi stipendiali per i
pubblici dipendenti, a norma dell'articolo 16, commi 1, 2  e  3,  del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98», e, dunque, ha praticamente perso
il carattere di  contingibilita',  tenuto  conto  della  durata  (ben
quattro anni) e della circostanza che seri dubbi possono nutrirsi sul
periodo in cui avra' termine, in netto contrasto  con  l'orientamento
della giurisprudenza costituzionale secondo il  quale  normative  del
genere di quella in esame - aventi la finalita'  «di  realizzare  con
immediatezza, un contenimento della spesa pubblica» - possono  essere
riconosciute legittime solo in  quanto  eccezionali  e  temporalmente
limitate, ossia a condizione che i sacrifici siano transeunti  e  non
arbitrari (sent. 18 luglio 1997, n. 445 e 7 luglio 1999, n. 299). 
    Del resto, le stesse Commissioni  parlamentari  riunite  I  e  IX
nell'esprimere il proprio parere nel corso dell'iter di  approvazione
della normativa in esame - avevano prospettato esigenze  di  rispetto
delle previsioni costituzionali (in particolare, artt. 3,  36,  39  e
97) e, sulla  base  di  queste,  riconosciuto  «non  ipotizzabile  un
ulteriore  allungamento  temporale»,  il  quale  e'  stato,   invece,
attuato. 
    4.3. Preso atto di cio', puo' affermarsi che l'art. 9, comma  21,
del d.l. n.  78/2010  sembra  aver  introdotto  una  vera  e  propria
prestazione patrimoniale a carico  soltanto  di  alcuni  contribuenti
(identificabile con l'aumento retributivo connesso  al  conseguimento
di  una  qualifica   piu'   alta),   prescindendo   da   criteri   di
ragionevolezza. 
    Sotto tale profilo si evidenzia, quindi, anche la  violazione  di
un  ulteriore  principio  costituzionale,  quello   della   capacita'
contributiva, fissato dall'art. 53 della Costituzione. 
    Viene, infatti, a determinarsi che alcuni  dipendenti  -  per  il
solo fatto di essere stati promossi in un determinato  periodo  -  si
trovano nella condizione di  non  poter  percepire  somme  altrimenti
spettanti, ossia risultano privati di somme che altrimenti  avrebbero
percepito, ai sensi  di  legge  o,  comunque,  della  disciplina  che
regolamenta la materia, subendo cosi un vero e proprio  prelievo,  in
netto  spregio  dei  criteri  di  progressivita'  fissati  a  livello
costituzionale. 
    Seppure si sia a  conoscenza  dell'orientamento  contrario  della
Corte assunto in relazione  ad  un'ipotesi  similare  (cfr.,  tra  le
altre, sent. n. 304 del 2013), il Collegio  e',  dunque,  dell'avviso
che la norma censurata abbia natura  tributaria  in  quanto  comporta
un'inequivoca  decurtazione  o  prelievo  a  carico  del   dipendente
pubblico. 
    L'incidenza sul rapporto  sinallagmatico  si  rivela  sulla  base
delle successive considerazioni: 
        il dipendente pubblico - in virtu' della promozione - diviene
titolare del diritto a percepire un aumento di stipendio; 
        la  somma  corrispondente  a  tale  aumento  non  gli   viene
corrisposta, a causa della prescrizione in argomento; 
        non e', dunque, possibile negare che, a fronte di quello  che
sarebbe lo stipendio spettante, il dipendente - percependo una  somma
inferiore - subisce una decurtazione patrimoniale (al pari di  quella
che si sarebbe potuta attuare mediante un  aumento  dell'imposta  sul
reddito); 
        il riferimento, poi, alla riduzione  di  spesa  non  vale  ad
elidere la natura tributaria delle  misure,  tenuto  conto  che  ogni
imposizione tributaria (tassa, tributo o contributo) da' luogo -  sul
piano sostanziale - ad una riduzione della spesa pubblica ma non  per
questo muta la propria natura, in linea - del resto - con quanto gia'
rilevato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 223  del  2012,
in relazione alla  riduzione  dell'indennita'  prevista  dall'art.  3
della legge 19 febbraio 1981,  n.  27  (la  quale  ha,  tra  l'altro,
riconosciuto  che  il  concorso  alle  pubbliche  spese,  tipico  del
«prelievo coattivo», e'  desumibile  «anche  dal  titolo  stesso  del
decreto-legge...,  in  coerenza  con  le  finalita'  generali   delle
imposte»). 
    Ammettere  il  contrario  equivarrebbe  ad  ancorarsi  a  criteri
meramente formalistici, tanto piu' se si  considera  che  i  principi
costituzionali in argomento tendono alla salvaguardia della giustizia
sostanziale  tra  i  contribuenti,  finalita'  da  perseguire   nella
predisposizione di nuove previsioni di legge  atte  a  determinare  -
come nel caso in esame - un effetto negativo per i redditi  percepiti
dai lavoratori. 
    4.4. In ragione di quanto gia' rilevato, chiara si delinea poi la
violazione  del  principio  del   buon   andamento   nella   pubblica
amministrazione, sancito dall'art. 97 della Cost.. 
    Non  appare,  infatti,  contestabile  che  il  regime  introdotto
dall'art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del  2010  determina  scontento
nel personale, a scapito del corretto e proficuo  espletamento  delle
proprie   mansioni   e,   dunque,   a   detrimento    dell'efficienza
nell'Amministrazione. 
    5. In conclusione, sussistono i presupposti di rilevanza e di non
manifesta  infondatezza  che  impongono  al  Collegio  di   sollevare
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma  21,  del
d.l. 31 marzo 2010,  convertito  con  modificazioni  dalla  legge  30
luglio 2010, n. 122, per la parte che stabilisce che «le progressioni
di carriera comunque denominate  eventualmente  disposte  negli  anni
2011, 2012 e 2013  hanno  effetto,  per  i  predetti  anni,  ai  fini
esclusivamente giuridici», per contrasto con gli artt. 3, 36, 53 e 97
della Costituzione. 
    Restano  riservati  all'esito   del   giudizio   incidentale   le
determinazioni definitive sulle questioni preliminari, sul  merito  e
sulle spese.